Pesach. Lascia andare il mio popolo.


La frase che Mosè dice al Faraone è molto conosciuta: “Lascia andare il mio popolo”, il seguito della frase: “affinché mi presti culto”, anche se meno conosciuto, non è meno rilevante.

Tra gli insegnamenti insiti nel “culto” e nella “cultura ebraica” c’è l’imperativo di non lasciare nessuno indietro, far sì che anche chi ha meno possibilità riesca ad avere quanto necessario. Lo troviamo esplicitato nella frase con cui inizia il Seder:
Chi ha fame venga e mangi, chi ha necessità venga e faccia Pesach (con noi)”.
La libertà non è una questione privata, un privilegio personale di chi se lo può
“permettere” a discapito degli altri. Non è previsto che ci si chiuda in sé stessi. Il Seder, come moltissimi altri momenti della vita ebraica, ci ricorda che la “libertà” si esprime anche attraverso la condivisione.
Dopo l’invito preliminare ad aprire la propria casa a chi ne ha bisogno, il testo prosegue con l’affermazione: “Quest’anno siamo schiavi, l’anno prossimo saremo liberi”.

Parole che possono apparire anacronistiche al giorno d’oggi, almeno nel nostro mondo occidentale.
Faccio una riflessione non del tutto scontata: la libertà, nel senso più profondo del
termine, comincia dall’interno, da sé stessi e comincia nel momento in cui ci si rende conto di esserne, almeno in parte privi. Siamo schiavi di condizionamenti esterni e di passioni interne che ci è difficile gestire. Libertà è anche la consapevolezza di aver risorse utili ad uscire dalle schiavitù personali ed essere pronti a metterle in gioco.

Feuerstein, nelle sue indicazioni relazionali che ha sintetizzato definendole “Criteri della Mediazione” prevede uno stretto collegamento tra la “Mediazione della Condivisione” e quella della “Individualità e differenziazione psicologica”. Con la prima si evidenzia l’importanza dello scambio, del dialogo, del confronto tra persone diverse, menti diverse, impostazioni di pensiero e di lavoro diversi; con la seconda l’importanza determinante che ogni singolo individuo possa costruire la propria personalità, rafforzare l’identità personale grazie agli elementi portanti del suo <essere unico e irripetibile>.

Questo intreccio tra libertà personale e libertà collettiva porta all’ultimo dei criteri della Mediazione: “il senso di appartenenza”. La necessità di sentirsi parte di una collettività da cui si può trarre sostentamento, ed a cui si può fornire il proprio contributo è uno dei bisogni umani più significativi.