Anniversario dell’evento “Le radici ebraiche del pensiero Feuerstein” – intervento di Jael Kopciowski


La giornata di oggi segna un anno esatto dall’evento Le radici ebraiche del pensiero Feuerstein. Questa data, però, non era stata scelta accidentalmente neanche un anno fa. Mancava infatti allora una settimana esatta all’inizio di Chanukà, una festività di grande importanza spirituale e storica per l’ebraismo.

La festività, conosciuta anche come la feste delle luci, ricorda la volontà del popolo ebraico, sottomesso al dominio ellenico di Antioco Epifane (secondo secolo a. C), di riconquistare la propria indipendenza e l’autonomia di pensiero.

Il valore che possiamo trovare in questa festività è legato a due aspetti in particolare:

  • la determinazione ad agire senza vacillare né tanto meno desistere neanche se gli obiettivi dovessero sembrare impossibili da raggiungere. Le risorse a disposizione, seppure poche, vanno comunque sempre utilizzate con determinazione ed energia quando l’obiettivo è significativo e rilevante.
  • La forza vera è frutto di collaborazione. Ognuno di noi è portatore di una piccola luce, ma mettendo insieme la luce di ognuno, l’oscurità (simbolo di difficoltà, dubbi, criticità e quant’altro possa “oscurare” ed indebolire) è affrontabile. La qualità e l’intensità della luce dipendono dall’armonia e dalla varietà delle sue componenti.

E questo è quanto Feuerstein ci ha dato come insegnamento: non esiste situazione né momento della vita in cui si dica: non c’è nulla da fare. Anche se non si sa fin dove si potrà giungere, il fatto di agire e muoversi verso il raggiungimento dell’obiettivo è già di per sé positivo.

Passato, presente, futuro:

La forza tratta dalla propria storia e dalle esperienze passate, la collaborazione, il confronto, il reciproco supporto oggi, nel momento dell’attivazione presente, danno energia ed illuminano la strada che ci permette di costruire il futuro.

Desideriamo qui riportarvi gli interventi dei fantastici relatori che sono intervenuti in quella indimenticabile giornata. Cominciamo con l’intervento della nostra presidente d’associazione Jael Kopciowski:

Grazie a tutti, sono profondamente emozionata..Io parlerò in italiano, ma abbiamo distribuito a tutti i partecipanti una sintetica traduzione degli interventi. Colgo l’occasione per ringraziare così Jessica che, oltre ad occuparsi di tutti gli aspetti tecnologici, essendo bilingue, ha dato piena assistenza in tutte le comunicazioni.

Prima di vedere insieme ciò che ho preparato, mi collego a ciò che ho sentito nelle presentazioni di Rafi, Lou e Chaim.

Più volte è stato ricordato un concetto che non credo tutti conoscano: si tratta di “Shoresh”, il nome che è stato dato e si è sempre mantenuto per gli Workshops internazionali Feuerstein.

Shoresh era il nome di un luogo vicino a Gerusalemme, un luogo eccezionale, dove avvenivano questi incontri internazionali: un piccolo villaggio, in cui tutti quelli che si incontravano partecipavano agli workshops….c’era un albergo con le sale riunioni e tanti piccoli bungalows, tanto verde, la possibilità di passeggiare..

La parola “Shoresh” vuole dire “radici” e questo nome si è mantenuto anche quando gli workshops sono diventati itineranti in Europa: un po’ per tradizione, un po’ perché “radici” è un concetto fondamentale in tutto il pensiero Feuerstein.

Se una persona ha antica memoria degli strumenti come erano una volta, ricorderà che c’era come simbolo un albero in cui si vedevano le radici: le radici erano un’importantissima parte dell’immagine ed erano grandi quanto la chioma proprio perché occorre che le radici siano forti perché l’albero possa crescere alto, forte, con una rigogliosa chioma.

Il concetto di radici accompagna, quindi, tutto il pensiero Feuerstein e la cultura ebraica.

Un altro aspetto citato più volte è quello dell’“amore”. Io, cresciuta in una cultura cosmopolita, seppur in una città con una forte componente ebraica – quale quella di Milano, molto più grande di quella di Trieste – mi sono sentita dire: “Caratteristica della religione cattolica è l’amore, caratteristica della religione ebraica è la giustizia”. Questo, in realtà, è relativo, è solo in superficie: l’amore è portato avanti tanto anche dalla cultura ebraica, non come una sorta di: “dobbiamo amare tutti .. perché vogliamoci tanto bene”, ma attraverso una serie di passaggi. 

Nella Torà, nel Pentateuco, più volte vengono date indicazioni operative, cose da fare, ad esempio: “Se trovi l’asino del tuo nemico accasciarsi sotto il peso, non abbandonarlo, aiutalo, aiutalo a tirarsi su…”, aiuta la persona, anche se in quel momento non è il tuo amico più stretto perché non c’è niente come l’azione, come la partecipazione, come lo stare insieme per conoscersi e conoscersi permette di voler bene effettivamente, non per un dettame – perché ai sentimenti è difficile “dare ordine” – ma perché agendo si può agire anche sui sentimenti e questo è molto presente in tutta l’attività che Feuerstein porta avanti.

Abbiamo sentito varie memorie, anch’io inizio da un ricordo: quando – parliamo di tanti anni fa – ho iniziato a seguire il percorso di formazione Feuerstein ne ho sentito una risonanza interiore molto forte che ho cercato di condividere con i miei genitori, sia perché lo spiegare, il parlare, il cercare di trasmettere ad altri il proprio pensiero è un modo molto forte per poter capire meglio, sia perché i miei genitori sono stati sempre i miei punti di riferimento. 

Ho quindi iniziato a scrivere qualcosa per trovare delle analogie tra quanto stavo apprendendo nel mio percorso di formazione e gli aspetti educativi della cultura assorbita in famiglia e a scuola. Questi punti essenziali sono diventati, poi, anche il nucleo del primo libro che ho scritto su Feuerstein. Tra l’altro, oggi è presente la persona che era il referente per la casa editrice “La Scuola” che mi ha aiutata molto nella sistemazione del libro. 

Sicuramente la “trasmissione culturale” è parte veramente integrante del metodo Feuerstein e per trasmettere, come è emerso da più relatori, il “mettersi nei panni” è fondamentale, in quanto se non vi si riesce, se non si riesce a cogliere il punto di vista dell’altro è veramente difficile entrare in relazione.

Mi piace, a questo proposito, leggere un Midrash – tra l’altro anche la parola “Midrash” ha dentro il termine “radici” – che è una modalità di spiegazione che spesso parte da una narrazione. 

Si intitola il principe tacchino.

«In un paese lontano, il principe perse la ragione e pensava di essere un tacchino. Viveva sotto il tavolo, completamente nudo e rifiutava i piatti regali che venivano serviti agli invitati nel vasellame dorato del palazzo, si nutriva esclusivamente della sementa destinata ai tacchini. 

Il Re fece venire i migliori medici, specialisti famosi: tutti si dichiararono incompetenti. Anche i maghi, e così pure i guaritori, i taumaturghi: le loro intercessioni risultarono vane. 

Un giorno, un saggio sconosciuto si presentò a corte e disse timidamente:”Credo di poter guarire il principe, mi consentite di provare?” Il Re acconsentì e il saggio, tra lo stupore generale, si tolse i vestiti e andò a raggiungere il principe sotto il tavolo, mettendosi a gloglottare, come un tacchino. 

Diffidente il principe lo interrogò: “Chi sei? Cosa fai qui?”

“E tu?” replicò il saggio, gloglottando come il principe “Chi sei e cosa fai qui?”

“Non vedi? Sono un tacchino!” 

“Ma pensa..” disse il saggio “che curioso incontrarti qui.” 

“Perché curioso?” 

“Ma come? Non vedi? sono un tacchino come te?” 

I due uomini strinsero amicizia e decisero che non si sarebbero più lasciati. Il saggio si dedicò al riadattamento del principe con l’esempio. Per incominciare? Indossò una camicia. 

Il principe non credeva ai suoi occhi: “Sei matto?? Dimentichi chi sei? Vuoi essere uomo, proprio tu?” 

“Beh..” rispose il saggio con tono conciliante “Non credere che un tacchino che si vesta come un uomo cessi di essere un tacchino..” 

Il principe acconsentì e l’indomani entrambi si vestirono normalmente. Il saggio si fece portare qualche piatto della cucina regale.

”Che fai?” protestò il principe, al colmo dell’orrore “Ti metti a mangiare come loro, adesso?”. 

L’amico lo rassicurò: “Non credere che mangiando come gli uomini, con gli uomini, alla loro tavola, un tacchino cessi di essere quel che è”.» 

E così, mettendosi nei panni del tacchino, avvicinandosi a lui, parlando il suo linguaggio, guardandolo negli occhi e non forzandolo ad essere qualche cosa che lui in quel momento non si sentiva di essere, ma accettandolo come persona, non per lasciarlo come era, ma per portargli una visione diversa del mondo, lo riportò ad una vita da persona. E questo è uno degli aspetti che desideravo condividere. 

Un altro aspetto è quello dell’ottimismo, una visione per cui, per quanto difficile possa sembrare una situazione, la si guarda con un occhio positivo: ci si può riuscire.

Una delle caratteristiche della vita ebraica è quella di trovare una Benedizione per ogni cosa: ogni evento ha una sua benedizione, alcune sono “sancite”, ma si può trovare una benedizione ogni volta che succede qualcosa. Perché una benedizione sia significativa occorre sia coerente con quanto sta avvenendo, quindi bisogna trovarvi un aspetto positivo.

Il trovare gli aspetti positivi e il dare significato consapevole agli eventi della vita è quanto la psicologia e le neuroscienze indicano come protettivo per la mente umana.

Un altro aspetto è la profonda consapevolezza che bisogna attivarsi con energia: le cose non “piovono dal cielo da sole”.

Uno degli esempi più eclatanti che mi è venuto in mente è quello dell’uscita dall’Egitto: uscito dall’Egitto il popolo ebraico si trova con il mare davanti e l’esercito egiziano, armato di tutto punto, dietro. Disperazione..: “Come facciamo? Dove andiamo?”

Mosè prega il Signore: “Dammi un aiuto.. Cosa faccio ora?”

Il Signore si rivolge a lui e dice: “Il mio popolo soffre e tu preghi? Fai qualcosa!”  E fu a quel punto che Mosè agì e il mare si aprì.

E’ l’azione quella che permette di trovare una strada.

L’aspetto dell’attivazione della mente direi che l’abbiamo già visto durante le relazioni precedenti, quindi non mi dilungherò.

Faccio presente solo che in varie parti della Torà.., del Pentateuco, è proprio esplicitato. Per esempio, proprio per l’uscita dall’Egitto, la conquista della libertà, della libertà di pensiero, della costituzione di un popolo è espressamente scritto: 

“Lo insegnerai, ne parlerai con i tuoi figli, spiegherai loro perché avviene questo..” 

Nello Shemà che è una raccolta di brani biblici che si legge ogni mattina e ogni sera – la mattina quando ci si alza, la sera prima di andare a dormire – fra le varie cose che vengono dette vi è proprio un punto in cui si riporta: “Insegnerai e insegnerai tutto ciò ai tuoi figli e parlerai con loro..” Non è scritto “glielo dirai”, ma “ne parlerai con loro”: quindi un’interazione, un aspetto di parità, di dignità, non c’è una passività di ascolto, ma un attivarsi contemporaneamente

Direi che uno degli aspetti fondamentali che troviamo in tutto il pensiero Feuerstein è il ruolo dato alla domanda, non tanto la domanda del formatore, dell’insegnante, del genitore nei confronti del discente, del figlio, ma la ricerca del fare in modo che sia la persona a fare domande.

Nella cerimonia della Pasqua ebraica la domanda è fondamentale: ancora prima dell’inizio della cerimonia, la sera prima si attivano i bambini con una modalità di coinvolgimento che nasce per creare curiosità. Durante la Pasqua tutto ciò che è lievitato – e qui ci sarebbe un altro ampio discorso molto interessante che però non rientra nel tema di oggi – tutto ciò che è lievitato deve scomparire di casa, si pulisce tutta casa, si vuotano i cassetti..però la sera prima la mamma – accuratamente chiuso in un sacchetto per non sporcare di nuovo tutto – nasconde qualcosa di lievitato. Poi, con una condivisione delle attività e dei ruoli che mettono in primo piano tutte le figure della famiglia, il papà, al buio – deve essere sera ormai – con una luce in mano guida i bambini che vanno alla ricerca di questo sacchetto. Una scoperta e la domanda: “Dove sarà?” e questo è un elemento che desta curiosità.

Maimonide dice che un buon insegnante è un insegnante che crea un setting, crea un’atmosfera che fa in maniera che scaturisca la curiosità, che venga voglia di fare una domanda.

La domanda è un elemento fondamentale, una domanda non è un campanello di allarme: “Non ha capito!”

La domanda è un momento in cui la mente si attiva e cerca di fare in maniera che le nuove conoscenze trovino un loro collocamento, un loro spazio, delle connessioni con quanto già conosciuto. Non può non esserci una curiosità in quel momento, un bisogno di approfondire, quindi la domanda è un elemento fondamentale.

Mi spiace definire la domanda, ma anche l’errore, come una “finestra aperta sulla mente”, cioè un modo che permette nell’interazione di capire che cosa sta passando per la mente dell’altro, di cogliere.., quindi facilita il mettersi nei panni: io colgo dalla domanda che cosa potrebbe essere interessante approfondire, ampliare, chiarire, ripetere, aggiungere.. perché la domanda è un modo per attivarsi.

La Yeshivà è lo studio rabbinico ed è interessante che nello studio rabbinico solo una parte degli studi si sviluppa in autonomia, molta parte viene fatta da più persone insieme perché è nello scambio che effettivamente si può cogliere la profondità del pensiero, nella condivisione, nel porsi domande reciprocamente.

C’è però un passaggio ulteriore: nel momento in cui lo studente ha un colloquio non è tanto come risponde alle domande, bensì il tipo di domande che pone ciò che permette a chi lo conduce di cogliere quelli che sono gli interessi, le caratteristiche, le modalità.., il pensiero di quella persona e quindi guidarlo a scegliere l’indirizzo, o andare al livello corretto.

Ho cercato di cogliere qualche punto e mi piacerebbe concludere con due aspetti: un altro Midrash e un brano tratto da uno degli ultimi libri di Feuerstein che lascerò per la fine.

I disegni riportati nelle slides sono di Giorgio Mieli con cui, durante il periodo del lockdown, abbiamo ripreso in mano un testo che avevo pubblicato tanti anni fa, un testo sulla tradizione ebraica, sui Midrashim, sulla lettura attraverso la narrazione di brani biblici, portandoli ai bambini e a chiunque sia interessato all’ambito educativo”.

Leggo un altro Midrash che rientra molto nel pensiero del professor Feuerstein, intitolato “Il Paradiso è nelle tue mani”.

«Una volta il Signore volle premiare un uomo molto giusto e buono permettendogli di conoscere prima di morire che cosa c’è dopo la vita terrena. Lo trasportò, mentre dormiva, in uno stupendo giardino lussureggiante, pieno di piante magnifiche, con foglie e fiori spettacolari..; l’aria era tiepida, il sole brillava in un bel cielo azzurro e gli uccellini cantavano allegramente. 

In tutto questo splendore spiccavano, in particolare, gli alberi: belli e maestosi, con alti rami carichi di frutta profumata e appetitosa.

A un tratto l’uomo sentì un caotico vociare.. Volse lo sguardo e vide in lontananza un gruppo di persone che si agitavano freneticamente. Si avvicinò per capire cosa stesse succedendo e si accorse che uomini, donne e bambini cercavano in tutti i modi di raggiungere la frutta: chi provava ad arrampicarsi lungo il tronco per raggiungere rami alti, chi tentava di scuotere le piante per far cadere i frutti maturi, chi voleva far rotolare a terra una pesca o un’albicocca con un lungo bastone..

La confusione era incredibile.., la frutta però restava irraggiungibile.

Mentre l’uomo osservava triste la scena, l’atmosfera andava progressivamente riscaldandosi e le cose continuarono a peggiorare. Un ragazzo che si stava arrampicando diede un’involontaria pedata a una donna sotto di lui la quale, di rimando, gli graffiò un polpaccio. Il bastone di un vecchietto finì sulla testa di un bambino che cominciò ad utilizzarlo per darle di santa ragione a chiunque gli capitava a tiro. Ben presto tutti litigavano con tutti, senza neanche ricordarsi più che c’era la frutta a loro disposizione. 

L’uomo assisteva impotente alla scena e dentro di sé si domandava come potesse essere quella la vita eterna.. Mentre rifletteva sulla stranezza del fatto, un piacevole coro di voci, allegre e scherzose, lo distolse da quei tristi pensieri.

Si allontanò un poco e una scena vivace e spensierata si presentò ai suoi occhi: un bel gruppo di persone di tutte le età stava organizzando una catena per raggiungere i rami alti di un albero simile, in tutto e per tutto, all’albero sotto il quale l’altro gruppo continuava a litigare a più non posso. 

I giovani più alti, forti e robusti, costituirono la base di una piramide che, di persona in persona, cresceva. In men che non si dica, tra canti e risate, i bambini, più agili e leggeri, scalando quella piramide umana, raggiunsero i rami alti e cominciarono a cogliere la frutta e passarla a chi era rimasto alla base dell’albero. 

Raccolta frutta a sufficienza, tutti insieme si radunarono in un bel cerchio e cominciarono a mangiare. A quel punto la voce parlò: 

“Vedi, ognuno può costruire il Paradiso o l’Inferno con le proprie mani. Questo è ciò che potete fare già nella vita terrena: tutto dipende da voi..”»

Noi le risorse le abbiamo, il Signore ce le ha messe a disposizione, come le utilizziamo dipende come noi ci approcciamo agli eventi della vita: facili o difficili che siano, non è l’evento di per sé, ma come noi ce lo raccontiamo quello che ci fa litigare o ci permette di raggiungere la frutta. 

La citazione dal libro di Feuerstein, invece, è la seguente:

“L’esperienza di apprendimento mediato non è qualche cosa che ho inventato io. E’ una qualità della natura umana che assicura continuità nel processo di crescita dell’umanità. E’ ciò che ci rende umani. In effetti, millenni di mediazione ci hanno resi ciò che siamo ora.

Nessun bambino nasce genio. Nessun bambino è in grado di agire senza essere messo sulle spalle della generazione precedente. 

Non siamo il prodotto di noi stessi, siamo il prodotto della cultura che ci viene trasmessa di generazione di generazione. Riceviamo questa cultura attraverso un processo di mediazione.

Ricevendo la cultura attraverso la mediazione noi siamo in grado di superare noi stessi e di superare le generazioni precedenti” 

(citazione tratta da:  “Changing Minds and Brains: The Legacy of Reuven Feuerstein: Higher Thinking and Cognition Through Mediated Learning”, Reuven Feuerstein, Louis Falik, Refael  Feuerstein, Samuel Feuerstein, Teachers’ College Press, United States, 2014)

Jael Kopciowski
Le radici ebraiche del pensiero Feuerstein(2021)