L’approccio Feuerstein al servizio del benessere psicologico
Shalom: vivere in completezza e serenità la propria vita
Articolo scritto in memoria del professor Feuerstein
“Shalom Jael, ma shelomech”?
Mi mancherà molto quel saluto amichevole che ogni tanto emergeva su skype, quel gioviale sorriso, giovanile pur se contornato da una bella barba bianca, che mi rallegrava al solo vederlo.
“Che notizie mi dai del lavoro sugli adattamenti tattili?
“Come stanno i nostri amici di Catanzaro?”
“Con Silvia ti stai sentendo? Quando riprendete le attività legate all’educazione alla pace?”
Il professor Feuerstein, all’invidiabile età di oltre 90 anni, mi poneva queste domande regolarmente nel momento in cui, troppo stanca per andare avanti con il mio lavoro, avevo deciso di spengere il computer e rimandare al giorno successivo ciò che stavo facendo. Approssimativamente l’ora in cui ciò avveniva erano le 23 passate, ora italiana, un’ora meno che in Israele, ed il suo volto mi compariva insieme ad un bicchiere di tè tenuto con una mano ed un biscotto tenuto con l’altra.
Longevità e brillantezza, sapienza, saggezza e spirito energicamente vitale. Qual è la “formula magica” per vivere in piena attività fino all’ultimo giorno della propria vita?
Collaboravo con il professor Feuerstein da un numero indefinito di anni, ed il suo approccio psicopedagogico ha accompagnato moltissime delle mie attività formative e professionali.
Ritengo che sia la sua stessa filosofia di vita ciò che gli ha permesso di restare così esuberante fino all‟ultimo respiro. Quella filosofia che fa da supporto e coronamento ai suoi insegnamenti educativi e che è elemento vitale che possiamo accogliere dentro di noi per poterlo trasmettere a quanti a noi si affidano.
Anche per suo merito, la ricerca in ambito psicologico si sta indirizzando con interesse ed impegno sempre maggiore al concetto di “benessere”, intendendo il benessere non come assenza di male, ma come possibilità di individuare gli aspetti positivi delle proprie esperienze per viverle in modo da trarne gratificazioni e prospettive per il futuro. Si studiano le condizioni e i processi che
contribuiscono alla creazione dello “stato ottimale” di funzionamento.
Alcuni autori del recente passato hanno aperto la strada verso questo approccio, per esempio Allport (1958) che evidenzia le caratteristiche positive presenti in ciascun individuo, Maslow (1968) che si occupa della salute delle persone. Più recentemente troviamo indicazioni significative negli di studi Cowan (2000) sulla resilienza in bambini e adolescenti.
Feuerstein non può essere inserito in modo effettivo in questa corrente, ma vi ricopre una posizione privilegiata, avendo orientato fin dai suoi primi, lontanissimi passi, la propria azione sulla ricerca e la messa in pratica di strategie di intervento volte al “positivo”. Il suo orientamento era assolutamente “ante-litteram” quando, prima degli anni ’50, ha cominciato a gettare le basi del suo
inquadramento teorico. Il suo approccio è stato da sempre orientato all‟individuazione degli aspetti positivi presenti in ogni situazione, con l’obiettivo di identificare competenze, risorse ed abilità in ogni persona per promuoverne le potenzialità. Approccio in contrapposizione a quanto avveniva in passato, quando la psicologia si occupava prevalentemente di comprendere, analizzare e classificare i comportamenti atipici e patologici degli individui, con l’obiettivo di trattare e “curare”, secondo un’accezione tipicamente medicalizzata, la sofferenza psicologica.
Tra i primissimi interventi dell’allora giovane psicologo, va ricordato quello avvenuto nel nascituro e in seguito neonato stato di Israele.
Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale lo stato di Israele si trovò a dover integrare tra di loro ed inserire nella vita civile e sociale, centinaia e centinaia di persone (tra cui moltissimi bambini ed adolescenti) provenienti da stati diversi che parlavano lingue diverse e che, nella maggior parte dei casi, avevano subito fortissime deprivazioni affettive e culturali: separazione dalla famiglia, allontanamento dal gruppo dei pari da cui si erano sentiti improvvisamente ed ingiustificatamente esclusi, persecuzioni ed altro. Nei casi estremi, ma non rari, provenivano dai lager e non solo erano privi delle più elementari basi culturali, ma erano annientati psicologicamente e moralmente dalle esperienze traumatizzanti che avevano dovuto subire, risultando, di conseguenza, apparentemente
portatori di gravi ritardi mentali se non addirittura di patologie psichiche.
Feuerstein, nella sua veste di psicologo incaricato dal governo di intervenire per ovviare nel migliore possibile dei modi alla difficilissima situazione, forte della sua convinzione che l’essere umano è modificabile e che la possibilità di intervenire esiste sempre, rifiutò l’idea di limitarsi a fornire un ambiente confortevole ai giovani in difficoltà, accettando in tal modo come immutabile la
loro situazione di svantaggio. Il suo pensiero, basato sui concetti di Potenziale d’Apprendimento e di Modificabilità Cognitiva Strutturale, pretendeva un intervento dinamico e costruttivo.
Dopo una prima analisi dei comportamenti, dei problemi di ordine relazionale e delle possibilità cognitive manifeste, i ragazzi che presentavano le maggiori difficoltà, ragazzi spesso ritenuti inaccessibili ad ogni tipo di intervento educativo, vennero scelti per usufruire di un programma particolarmente intenso. Il progetto prevedeva il loro inserimento, suddivisi in piccoli gruppi, in
villaggi caratteristici di Israele (kibutzim) in cui avrebbero potuto vivere a contatto con giovani della loro età, in un ambiente molto sereno e rilassante ma allo stesso tempo ricco di stimoli tanto affettivi quanto culturali. La situazione avrebbe dato loro anche la possibilità, in momenti e situazioni particolari, di collaborare alle attività del villaggio, facendoli sentire utili e partecipi. Punto focale del
programma era la possibilità di avvalersi dell’Esperienza di Apprendimento Mediato.
Il successo fu straordinario: quasi tutti i ragazzi riuscirono a superare le loro iniziali, enormi, difficoltà e dimostrarono di sapersi inserire affettivamente e attivamente nell’ambiente e di poter sviluppare in maniera più che adeguata le loro possibilità cognitive. I risultati da loro ottenuti in alcuni test dopo l’intenso periodo di supporto psicologico, dimostrarono livelli di funzionamento e di
equilibrio personale che si avvicinavano alla “norma” e che erano comunque ben superiori a quelli di coetanei giudicati in condizioni migliori e non a rischio al momento della scelta iniziale, e non inseriti nel programma di intervento intensivo.
Se non ci fosse stata in lui una profonda, sentita e radicata visione positiva dell’essere umano, un ottimismo energicamente attivo, volto all’individuazione ed alla promozione di ogni minimo segno “vitale”, non sarebbe stato possibile far uscire tante persone dalla loro situazione di totale chiusura al mondo ed essi sarebbero stati persi per sempre.
Nella sua lunga vita ha superato vicissitudini di tutti i tipi, anche molto gravi, ed ha vissuto soddisfazioni di enorme rilievo. La più significative, dal punto di vista professionale, è la conferma che le ricerche neuroscientifiche danno oggi alla veridicità del postulato: “l’essere umano è modificabile”.
Questa profonda consapevolezza di Feuerstein, le cui radici affondano nella prima metà del secolo scorso, oggi è definita “plasticità cerebrale” e fa da supporto al concetto di “intelligenza esperienza-dipendente”. A questo proposito Feuerstein era solito dire: “E’ il più bel regalo che ho ricevuto per i miei 80 anni.”
Ancora in divenire è invece il percorso di ricerca della reciproca comprensione per il raggiungimento di un‟armonia universale tra gli esseri umani a cui lo psicologo israeliano tanto teneva. Il rispetto per l’essere umano era talmente radicato in lui che gli ha fruttato una nomination per il premio Nobel per la pace.
Che cosa si intende per pace? In ebraico pace è Shalom, che contiene in sé il concetto di completezza.
La pace è un obiettivo da raggiungere, il punto di arrivo di un percorso che prevede maturità ed equilibrio.
La pace intersoggettiva è raggiungibile solo se i singoli soggetti hanno prima raggiunto il personale punto di equilibrio. L’intervento di Feuerstein integra gli aspetti cognitivi, affettivo/emozionale, relazionali e sociali nell’ottica della condivisione e della comprensione reciproca.
Il percorso soggettivo, stimolato e sostenuto dal suo approccio, può avvicinare a quel concetto di “completezza” in cui sono compresi equilibrio e serenità interiori, punti di partenza per il raggiungimento della pace con se stessi e con gli altri nel rispetto della libertà altrui, delle culture diverse dalla propria, dell’umanità
tutta.
Per Reuven Feuerstein il concetto di “mediazione” è un principio universale che può essere insegnato e appreso da tutti gli esseri umani in qualsiasi condizione di vita (dalla disabilità, ai conflitti culturali o etnici, dal disagio sociale alle relazioni tra esseri umani). Un requisito alla base della formazione dell’essere umano
per renderlo persona in grado di interagire con il proprio prossimo.
Reuven Feuerstein è partito dalla diffusione del concetto di pace nel singolo essere umano, formando alla concetto di psicopedagogia della mediazione centinaia di migliaia di persone in tutte le nazioni, tramite i suoi corsi. La costante attenzione ai più deboli, come testimoniano le sue attività nell’ambito dell’educazione di bambini e giovani con difficoltà cognitive, comportamentali e di adattamento sociale, caratterizzano il suo approccio.
A noi il compito di proseguire sulla via da lui iniziata, nella profonda convinzione che la strada per vivere il benessere psicofisico e costruire un mondo basato sulla comprensione sociale, passa obbligatoriamente
attraverso i valori educativi.